She said that the biggest fish in the river gets that way by never being caught.
Tim Burton sostiene che nel momento in cui vedi per la prima volta la donna che sarà tua moglie il tempo si ferma, e ti permette di poterla vedere più da vicino prima che poi tutto recuperi lo standby e ti travolga mentre la vedi scomparire nella folla. Perfortunapurtroppo a me non è ancora successo, ho avuto un discreto numero di colpi di fulmine e di relazioni durate meno della vita di una farfalla media, ma lo scorrere del tempo mi si è fermato solo in occasione di alcune partite nel tempo di recupero, e siccome non voglio che questo venga letto come un segno del destino e dell'ineluttabilità del mio matrimonio con una palla che rotola su un campo verde bordato di gesso, preferisco pensare che il buon Tim si sbagliasse.
Però devo ammettere che mi piacerebbe poter raccontare ai nostri figli che la prima volta che ti ho vista arrivavi su una spiaggia assolata di fine giugno, cappello azzurro di paglia comprato all'Oviesse in testa perchè a prenderlo rosso eri troppo ordinary e poi avresti ricordato veramente troppo Madoka, pareo e costume due pezzi in tinta, unica distrazione la borsetta con i manici gialli. Continueremmo raccontando che ti ho conosciuta perchè giocavi a pallavolo con un Supertele, che da solo evoca ricordi di altre estati dove l'amore più forte era una palla e non le ragazze e vedi che torniamo sempre a parlare delle stesse cose?, e c'era così tanto vento che potevi giocare a palleggiare da solo e la palla sarebbe sempre tornata indietro.
Ti sei spostata tu per venire vicino ai nostri asciugamani, e i miei amici che ogni volta che mi vedono partire verso qualche ragazza ancora si chiedono se la mia è la faccia tosta di chi sa di piacere o l'incoscienza di chi non ha mai capito di non piacere a nessuno, poi ci siamo scambiati le due mani di una partita a scala 40 perchè dicevi che le mie carte erano migliori e chissà se ti sei accorta che in mezzo a tutti quei semi c'era anche un pezzettino del mio cuore.
Poi hai mangiato una pesca, ed io ho tolto la parola pesca e tutto quello che è rimasto era meraviglia come prendere il sole su una spiaggia bianca ed eri tutta scottata ed arrossata e mi hai chiesto di spalmarti la crema, poi abbiamo cercato di toglierci dalla pelle la mucillagine che continua ad esserci sulla costa adriatica ma poco tempo e ad inizio stagione, poi abbiamo mangiato un gelato e abbiamo aspettato pigiati come sardine in mezzo alla folla per poter tornare a casa.
Vedranno questa foto, e gli racconteremo che tornando indietro sul traghetto per un attimo hai sorriso mentre mi raccontavi tutte le tue piccole sfortune, io ti ho detto che eri bellissima in quel momento, ho preso la prima cosa che poteva scattare una foto e l'ho scattata e tu continuavi a ridere perchè non ci credevi che fosse davvero bella e che meritasse di essere scattata per conservarsi tra i ricordi più cari e scommetto che anche adesso che la vedi continuerai a dire che sei venuta male e che l'unica cosa bella è Venezia sullo sfondo. Alla fine ci ho pensato, avevi ragione. La foto la lascio qui che un giorno la farai vedere tu ai tuoi figli, e quando la vedranno i miei leggeranno e non dovrò nemmeno perdere il tempo di raccontargli qualcosa per giustificarmi, se ci sarò ancora io ci sarà anche questo piccolo post, e loro spero capiranno e non mi chiederanno più di andare a visitare quella città che rimane a mezz'acqua e che qualche volta va sotto.
Innamorarsi a Venezia, sai che bello da raccontare?
A man tells so many stories, that he becomes the stories. They live on after him, and in that way he becomes immortal.
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Avremmo potuto conoscerci.
Entrambi in attesa alla fermata dell'autobus, una di quelle dove ferma un solo tipo di autobus e quindi non c'erano dubbi sul fatto che saresti salita con me, e mi sono risparmiato per l'ennesima volta la penosa metafora di vedere una persona salire sull'autobus/treno/traghetto sbagliato e passare un pezzo del viaggio a chiedermi come sarebbe stato se finalmente nella mia vita avessi avuto il coraggio di deviare un poco anche io.
C'eravamo visti prima nel supermercato, l'unico che in zona tiene aperto fino alle nove di sera, orario a cui io sono costretto dal lavoro e forse tu dalla noia di mezza estate milanese, con un caldo che ti impedisce anche di divertirti fino a che non viene sera. All'ingresso per entrambi il medesimo rituale dell'affannosa ricerca di un cestino rosso in plastica delle dimensioni che un tempo le biciclette delle nostre nonne avevano davanti, e che riflettendoci non ho mai capito come facessero a trasportare quello che avevano acquistato fino a lì. Ci siamo orbitati intorno per un po', entrambi in attesa di un gesto rivelatore, ma le mani sugli scaffali non tradivano l'esistenza di una seconda persona per cui preparare la cena; porzioni piccole di affettati, formaggi, una confezione singola di couscous con verdure io e una confezione singola di pasta fredda tu, uno stivaggio da attesa pre-guerra nucleare di succhi di frutta mela-pesca-banana entrambi, non so dire se per la sete, per la colazione o meno prosaicamente per il fatto che erano in offerta. In quelle situazioni, generalmente, do la colpa ai geni di un padre che fu capace di comprare tre doppie piastre musicassette attirato da un tre per due. Pane, grissini, minicroissant alla crema e al cacao Bauli. Ad un certo punto ti ho anche scorta con la coda dell'occhio mentre stavi valutando quale acquistare fra alcune bottiglie di vino bianco, e mi osservavi come a formulare una proposta implicita, settantacinque centilitri sono troppi per una ragazza da sola, a meno che non sia friulana. La scelta del vino bianco, inoltre, implicava una leggiadria superiore a quella delle coppiette diciannovenni alla loro prima estate in una casa da soli, che decidono per una botta di vita e preparano risotto ai frutti di mare, scampi alla griglia, mousse alla fragola... e Tavernello rosso da un litro. Nemmeno un globalizzatissimo sugelato merita una fine così orrenda da essere affogato in un vino conservato nel cartone.
Avrei dovuto risponderti acquistando una bottiglia di Vov. Non so perchè, ma da quando rivedendo le foto del matrimonio dei miei genitori ho trovato una sequenza di foto che mostravano mia madre intenta ad aprire una scatola di cartone contenente perlappunto una bottiglia di Vov, quel liquore all'uovo, adatto per recuperare velocemente le forze e per questo meticolosamente ordinato la domenica mattina di tutti gli anni settanta da torme di presunti playboy prima di raccontare le avventure sessuali della sera prima, mi è rimasto impresso come una chiara metafora di una proposta sessuale.
Mi ha punito la mia golosità; guadagnata la cassa, pagata la spesa, raggiunta la fermata dell'autobus, l'attesa.
Caldo, nonostante fossero ormai le nove di sera, e le piccole goccie di sudore che colano dalla fronte e la tua maglietta rossa che aderisce come una seconda pelle al seno e tu che a piccoli passi piano piano ti avvicini. Impossibile non bere qualcosa. Ero ormai al terzo sorso quando non ti ho vista più, e intorno al sesto eri ormai in fondo alla strada che camminavi verso casa. Ho dato un'occhiata alla bottiglia ed ho capito, anche a me non piacerebbe baciare una bocca che sa di the verde con limone e fico, perdipiù in offerta scontata sugli scaffali più orridi, quelli in fondo dalla parte opposta alle casse. Nessuno vuole una vita da seconda scelta, nemmeno quando si tratta di un inizio, a maggior ragione quando si tratta di un inizio.
La sera dopo, per la prima volta dall'inizio dell'estate, a Milano soffiava un lieve vento che manteneva il clima a livelli accettabili, ed io non avevo sete.
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Batti le dita sui tasti con violenza, non importa quanto male puoi sopportare ai polpastrelli, le lettere fluiscono sullo schermo con la stessa velocità con cui il tuo cervello le elabora. Batti le dita sui tasti con violenza, c'è sempre qualcuno che ti vuole male; il capoufficio che ti chiede di venire anche sabato mattina al lavoro a finire l'inventario, la ragazza che ti rifiuta perchè “Preferirei rimanessimo solo amici...”, gli amici che hanno sempre troppo altro a cui pensare per ricordarsi di darti un colpo di telefono e dirti che stasera vanno a mangiare la pizza. Batti le dita sui tasti con violenza, la stessa violenza che ti hanno inflitto in tutti questi anni, la violenza che tu avresti voluto restituire al mondo ma che eri troppo intelligente per restituire, e ti sei dovuto cercare un altro modo per sfogarti.
Batti le dita sui tasti con violenza, fuori dalla finestra potrebbe esserci un bimbo che piange perchè i genitori lo picchiano, una ragazza con il fiatone sdraiata per terra che subisce una violenza, un vecchio rantolante che si chiede perchè l'aria non ne vuole proprio sapere di gonfiare ancora i suoi polmoni, qualcuno con i soldi sufficienti per potersi godere tutto questo come tu guardi i film in camera tua con il 5.1 che ti è costato tanti sacrifici. Batti le dita sui tasti con violenza, c'è tutta una città, una nazione, un continente, un mondo; e tu sei da solo con la tua rabbia e davanti a te una tastiera.
Accarezzi la gatta che nel frattempo ha continuato a dormirti accanto come se niente fosse, l'odore della tazza di tè verde fumante alla tua sinistra per un secondo ti scatena una sete d'inferno, la sollevi e piano piano ti avvicini alla finestra alternando un sorso ad un passo verso il vetro. La città per adesso dorme.
Ci sono troppe persone là fuori che si sono dimenticate di come la penna uccida più della spada.
E' ora che qualcuno si prenda il compito di ricordarglielo.
Batti le dita sui tasti con violenza. Spazio. Punto.
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